mercoledì 16 gennaio 2013

Una pronuncia dei giudici di Strasburgo non è vincolante per i tribunali tedeschi




Il Tribunale costituzionale tedesco delimita gli effetti nel diritto interno delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo



A qualche mese di distanza dalla decisione della Corte di Strasburgo sul caso Hannover c. Germania (su cui cfr., su questo sito, la cronaca di Giorgio Repetto), il Bundesverfassungsgericht (BVerfG) si pronuncia sulla questione dell’efficacia delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nel diritto interno, in particolare con riferimento ai processi il cui oggetto sostanzialmente vi corrisponda (2 BvR 1481/04 PDF del 14 ottobre 2004). Il BVerfG riprende e sviluppa il proprio precedente in materia (2 BvR 336/85 Pakelli-Beschluß, dell’ 11 ottobre 1985). In esso aveva già precisato che una sentenza, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo accerti la violazione della CEDU da parte di un tribunale tedesco, non ha “efficacia idonea a rimuovere il giudicato” della decisione interna. Nondimeno, i tribunali tedeschi sono tenuti a rispettare “il giudicato sostanziale (delle decisioni della Corte di Strasburgo), con i rispettivi limiti soggettivi, oggettivi e temporali” (nel caso di specie, il BVerfG aveva rilevato come i limiti oggettivi della sentenza di accertamento della Corte europea non coprissero la pretesa del ricorrente alla revisione del processo penale interno, lasciando tuttavia impregiudicata la possibilità di un’incidenza sul procedimento esecutivo).
Nel caso in esame, la sentenza del tribunale costituzionale costituisce il culmine di una vicenda processuale complessa. Il ricorrente, cittadino turco e padre naturale di un bambino dato in adozione dalla madre, cittadina tedesca, senza il suo consenso, aveva instaurato un giudizio per ottenere il conferimento della potestà genitoriale (elterliche Sorge). In particolare, richiedeva la custodia del figlio (persönliche Sorge nel sistema tedesco, custody secondo la Corte europea) ed il riconoscimento del diritto-dovere di visita al bambino, che viveva presso una famiglia affidataria. In una prima serie procedimentale, alla decisione favorevole di primo grado dell’Amtsgericht (AG) Wittemberg (9 marzo 2001) era seguita quella sfavorevole dell’Oberlandsgericht(OLG) Naumburg (20 giugno 2001) nonché il rigetto, da parte del BVerfG con una decisione priva di motivazione, di una Verfassungsbeschwerde (31 luglio 2001).
Contro la pronuncia dell’OLG Naumburg, il ricorrente adiva la Corte di Strasburgo, che, sulla base della sua giurisprudenza sulla salvaguardia dei legami familiari e sulla “obbligazione positiva imposta a ciascuno stato di riunire il genitore naturale ai suoi figli”, riteneva soddisfatti i presupposti per una violazione dell’art. 8 CEDU (Görgülü c. Germania PDF, n. 74969/01 del 26 febbraio 2004). La Corte ha ritenuto che il margine di discrezionalità degli stati, con riferimento alla clausola sulla “necessarietà in una società democratica” di cui al 2° comma art. 8 CEDU, dovesse intendersi in senso ampio rispetto alla custodia ed invece più stretto con riferimento al diritto di visita. Ciononostante, non solo la decisione dell’OLG Naumburg, nella parte in cui negava al genitore il diritto di visita, “rendeva praticamente impossibile lo sviluppo di qualsiasi forma di vita familiare, (...) strappando il minore dalle sue radici”, ma anche, escludendo a priori il diritto di custodia del padre naturale, ometteva di considerare “tutte le soluzioni possibili al problema”, concentrandosi solo sulle conseguenze imminenti dell’allontanamento del minore dalla famiglia affidataria ed ignorando gli effetti di lungo periodo della sua separazione dal padre. In entrambe le ipotesi, non veniva assicurato l’interesse superiore del bambino (the best interest of the child). Accanto all’accertamento della violazione, la Corte stabiliva che lo stato tedesco, pur libero di scegliere i mezzi con i quali far fronte all’obbligazione sorta in seguito alla sentenza, avrebbe dovuto “per lo meno assicurare al ricorrente la possibilità di visitare suo figlio ”.
Nel frattempo, il ricorrente aveva avviato un secondo e parallelo procedimento. La sua richiesta di ottenere, in via cautelare, il riconoscimento del diritto di visita veniva nuovamente rigettata in secondo grado dall’ OLG Naumburg (30 settembre 2003), il quale aveva tuttavia accolto la sua richiesta di sospendere il procedimento di adozione instaurato contemporaneamente dalla famiglia affidataria, fino ad una decisione definitiva sulla custodia. Nell’ambito di questo secondo procedimento, l’AG Wittemberg ha ritenuto, in seguito alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, di dover conferire al ricorrente la custodia esclusiva del figlio (19 marzo 2004), nonché di poter emanare d’ufficio un provvedimento interinale con cui assicurare al ricorrente un limitato diritto di visita. Tale ultimo provvedimento, impugnato dai genitori affidatari e dallo Jugendamt quale tutore d’ufficio del minore, è stato prima sospeso e poi annullato dall’ OLG Naumburg, perché adottato in difetto della domanda di parte, necessario presupposto processuale (30 marzo e 30 giugno 2004). Secondo l’OLG Naumburg, l’adozione del provvedimento d’urgenza non sarebbe giustificata nemmeno dal contenuto della sentenza della Corte europea. Questa, infatti, obbligherebbe direttamente “soltanto la RFT come soggetto di diritto internazionale, ma non i suoi organi o i suoi uffici e segnatamente non i tribunali quali organi indipendenti della giurisdizione ai sensi dell’art. 97 1° co. GG. L’efficacia della sentenza si esaurisce pertanto de iure e de facto, salva una modifica della legislazione interna, nell’accertamento e nella sanzione di una violazione (...) avvenuta nel passato.” Per il futuro, e rispetto ai tribunali tedeschi, una pronuncia dei giudici di Strasburgo non è vincolante (unverbindlich).
Contro questa decisione (14 WF 64/04 OLG Naumburg), il ricorrente solleva la Verfassungsbeschwerde qui in esame. Secondo il BVerfG, il ricorso è fondato, poiché la decisione impugnata viola l’art. 6 GG (protezione della famiglia) in combinazione con il principio dello stato di diritto ai sensi dell’art. 20 3° co. GG (Rechtsstaatsprinzip).
Nella prima parte della motivazione, il tribunale costituzionale conferma la sua precedente giurisprudenza sulla funzione ermeneutica svolta dalla CEDU nell’interpretazione dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto nell’alveo del Grundgesetz (da ultimo, BVerfG, 2 BvR 1570/03). È giurisprudenza costante del BVerfG che le norme della CEDU siano insuscettibili di essere un parametro diretto nei giudizi di costituzionalità. La CEDU, il cui ordine di esecuzione nel diritto interno è contenuto in una legge ordinaria (Gesetz über die Konvention zum Schutze der Menschenrechte und Grundfreiheiten del 7 agosto 1952), ha nell’ordinamento tedesco il rango di quest’ultima (art. 59 2° co. GG). Tuttavia, le norme della Convenzione e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo “servono, sul piano del diritto costituzionale, come sussidii interpretativi (Auslegungshilfen) per la determinazione del contenuto e della portata dei diritti fondamentali” del GG. Di questi deve darsi, “se possibile”, un’interpretazione che non sia in conflitto con gli obblighi internazionali della RFT. Ciò in virtù di quella philìa verso il diritto internazionale (Völkerrechtsfreundlichkeit) che caratterizza la Legge fondamentale in virtù di un ben preciso complesso di norme (artt. 23, 24, 25, 26, 26 GG) nonché del suo preambolo. Tale Völkerrechtsfrundlichkeit, tuttavia, dispiega i suoi effetti “solo nell’ambito del sistema demokratisch e rechtsstaatlich del Grundgesetz”. Il BVerfG si sofferma sui presupposti teorici del rapporto tra diritto interno e diritto internazionale, inquadrato in termini di dualismo: “la Legge fondamentale [ndr. Costituzione provvisoria tedesca] riposa sull’impostazione classica, secondo cui il rapporto tra diritto internazionale e diritto interno è quello di due circuiti giuridici distinti e la natura di tale rapporto, nella prospettiva del diritto interno, può essere determinata solamente dal medesimo diritto interno”. Sebbene la Legge fondamentale aspiri all’integrazione della Germania nell’ordine internazionale, essa “non rinuncia alla sovranità”, identificabile “nell’ultima parola (spettante alla) costituzione tedesca”, la quale identifica limiti e controlli rispetto alla sottoposizione ad atti d’imperio promananti da autorità “non tedesche”. La stessa integrazione sovranazionale europea è concepibile sulla scorta di una “riserva di sovranità, per quanto ampiamente ridimensionata (weit zurückgenommen)”. Il diritto pattizio internazionale è valido nell’ordinamento nazionale solo se in esso sia stato “incorporato in maniera formalmente corretta ed in conformità con il diritto costituzionale materiale (in Übereinstimmung mit materiellem Verfassungsrecht)”. Pertanto non è incompatibile con la Völkerrechtsfreundlichkeit del Grundgesetz l’ipotesi in cui “il legislatore, in via eccezionale, non rispetti il diritto internazionale pattizio, nella misura in cui solo in questo modo si può impedire la violazione di principi fondamentali (tragende Grundsätze) della costituzione”.
Nella seconda parte della motivazione, il BVerfG affronta più specificamente il problema dell’efficacia delle sentenze della Corte di Strasburgo con riferimento alla res iudicata, per poi giungere nuovamente, nella terza parte, a conclusioni di carattere generale. In virtù dell’art. 46 CEDU, gli stati che hanno aderito alla Convenzione si sono impegnati a conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo che, se definitive (artt. 42 e 44 CEDU), hanno dato luogo a giudicato formale. L’efficacia di tali sentenze negli ordinamenti interni si misura con riferimento alla cosa giudicata sostanziale, di cui il BVerfG ripetutamente sottolinea i limiti. Quelli soggettivi, poiché le sentenze della Corte europea vincolano direttamente solo lo stato che è stato condannato e non anche gli altri; quelli oggettivi, poiché l’efficacia della sentenza è circoscritta alla fattispecie oggetto del giudizio; quelli temporali, poiché sia le circostanze di fatto che la situazione giuridica possono considerevolmente cambiare nell’arco di tempo che va dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Strasburgo all’ apertura di un nuovo procedimento interno. Escluso che le sentenze della Corte abbiano efficacia costitutiva e che quindi possano annullare le decisioni dei tribunali nazionali non conformi alla CEDU, esse hanno invece efficacia di accertamento, cui si accompagna un’efficacia di condanna nel caso di pagamento di un’equa soddisfazione ai sensi dell’art. 41. Mentre dall’accertamento della violazione sorge l’obbligo, in capo allo stato condannato, di ripristinare la situazione preesistente (restitutio in integrum) nonché di porre termine alla violazione, ove essa ancora perduri, il pagamento di un’equa soddisfazione, presupponendo una riparazione “incomplet(a)” da parte dello stato, sembra escludere un’obbligazione immediata per lo stato di adeguare il diritto, nonché gli atti amministrativi e giurisdizionali interni, alla decisione della Corte. Tale ricostruzione, fatta propria dallo stesso BVerfG nel Pakelli-Beschluß del 1985, è stata rifiutata da recenti pronunce della Corte europea che, capovolgendo i termini della questione, ha sostenuto che solo se “il diritto nazionale non permette, o permette in maniera soltanto imperfetta, di eliminare le conseguenze della violazione (con misure di carattere generale o individuale), l’art. 41 abilita la Corte ad accordare alla parte lesa la soddisfazione che le sembri appropriata” (Assanidzé c. Georgia, n. 71503/01, dell’8 aprile 2004, § 198; nello stesso senso Maestri c. Italia, n. 39748/98, del 17 febbraio 2004, § 47; Scozzari e Giunta c. Italia, n. 39221/98 e 41963/98, del 13 luglio 2000, §§ 249-250).
Il BVerfG, richiamando tale ultima giurisprudenza della Corte europea, ammette che la mancata rimozione delle conseguenze della violazione già accertata dai giudici di Strasburgo, è suscettibile di integrare gli estremi di una seconda violazione. Da quest’impostazione, unita alla considerazione dell’obbligo, da parte degli stati contraenti, di assicurare “l’effettiva applicazione di tutte le disposizioni della Convenzione” nel diritto interno (art. 52 CEDU), il BVerfG deduce che, fondamentalmente, “tutti gli organi del potere pubblico tedesco sono vincolati alle sentenze della Corte”. In particolare, “anche ai tribunali tedeschi fa capo l’obbligo di considerare (Pflicht zur Berücksichtigung) le decisioni della Corte”.
Tuttavia, e si giunge alla terza parte della motivazione, i tribunali sono tenuti al rispetto “del diritto e della legge” (art. 20 3° co. GG) e non possono invocare una pronuncia della Corte di Strasburgo per svincolarsene. Parimenti, alla clausola di cui all’art. 20 3° co. GG “appartiene anche la considerazione (...) della CEDU e delle decisioni della Corte”, in quanto incorporate nel diritto interno attraverso una legge ordinaria. Una tale “considerazione” dovrà avvenire secondo un’interpretazione “metodologicamente sostenibile” (methodisch vertretbar). Ne consegue che “sia il mancato confronto con una pronuncia della Corte, sia la sua “esecuzione” schematica in violazione di norme superiori”, in particolare il diritto costituzionale, possono integrare la violazione dei diritti fondamentali in combinazione al Rechtsstaatsprinzip. Una volta dedotto dalla legge questo “obbligo di considerazione”, il suo contenuto è precisato nel senso che il tribunale competente dovrà “per lo meno prendere atto” delle disposizioni e della giurisprudenza CEDU rilevante e farli confluire nel processo decisionale (Entscheidungsfindung), segnatamente nel giudizio di proporzionalità (come già in 2 BvR 1570/03). Diversamente da quanto sostenuto dall’OLG Naumburg, il confronto con le decisioni della Corte europea è quanto meno “dovuto” (gebührend) e pertanto dev’essere “riconoscibile”, nel senso che un esito difforme dagli orientamenti di Strasburgo dovrà essere attentamente motivato.
Tale eventualità è espressamente riconosciuta dal BVerfG con riguardo al diritto privato, in particolare con riferimento al diritto di famiglia e degli stranieri nonchè, richiamando la decisione della Corte europea Hannover c. Germania, alla protezione del diritto generale della personalità. L’aspettativa che i giudici nazionali conformino la propria giurisprudenza a quella europea, fatta propria dal legislatore tedesco in occasione dell’introduzione, nel 1998, di un ulteriore motivo di revisione della sentenza penale (§ 359 n. 6 StPO), non può essere generalizzata a tutti i settori dell’ordinamento, specialmente se le corrispondenti norme processuali consentono di investire il giudice di domande nuove non interamente coperte dalla res iudicata del procedimento di Strasburgo.
Ciò implica che i giudici, nella “considerazione” delle decisioni della Corte europea, dovranno tener conto delle loro ripercussioni all’interno dell’ordinamento nazionale, soprattutto quando si tratta di “un sistema parziale del diritto interno e bilanciato nelle sue conseguenze giuridiche” (ein in seinen Rechtsfolgen ausbalanciertes Teilsystem des innerstaatlichen Rechts; Teilrechtssystem; Teilrechtsbereich), in cui diversi diritti fondamentali reciprocamente si bilanciano. A sostegno di tale conclusione, il BVerfG riconduce l’argomento della partecipazione, al procedimento presso la Corte, del solo ricorrente e dello stato contraente, con l’esclusione di soggetti terzi, il cui eventuale intervento ex art. 36 2° co. CEDU non è sufficiente a farne acquisire il ruolo di parte processuale. Spetta pertanto ai giudici nazionali “adeguare una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ai sistemi giuridici parziali dell’ordinamento nazionale volta a volta interessati”, adeguamento che non può essere effettuato direttamente dalla Corte europea.
In conclusione, il BVerfG, pur non essendo di regola una Revisioninstanz, afferma che le decisioni dei tribunali tedeschi sono sottoposte al suo controllo anche in punto di interpretazione, qualora un’erronea interpretazione e applicazione dei trattati internazionali possa dar luogo alla responsabilità internazionale della Germania. In questo senso il tribunale costituzionale ritiene di essere “al servizio, in via mediata, dell’esecuzione del diritto internazionale”. Ciò è vero soprattutto rispetto alla CEDU, che contribuisce ad “uno sviluppo comune europeo (gemeineuropäisch) dei diritti fondamentali”. Pertanto, “finchè (solange), nell’ambito dei vigenti standard metodologici, rimangano aperti margini” interpretativi, i tribunali tedeschi hanno l’obbligo di dare la prevalenza all’interpretazione conforme alla convenzione. Un esito differente è concepibile “solo quando il rispetto di una sentenza della Corte europea (…) si pone palesemente in contrasto con il diritto legislativo vigente o con disposizioni costituzionali, segnatamente i diritti fondamentali di terzi”. Ciò potrebbe avvenire, come nel caso di specie, “nel caso di una modificazione della situazione di fatto”. In ogni caso dev’essere “comunque possibile lamentare, dinanzi al BVerfG, che gli organi statali non hanno preso in considerazione una sentenza della Corte europea”. Il parametro è costituito dal diritto fondamentale in questione insieme al Rechtsstaatsprinzip.

di Alessandra Di Martino







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