martedì 17 febbraio 2015

Situazioni aberranti risultato del diritto di famiglia tedesco

M. Jean-Claude Juncker
Presidente della Commissione europea

 – Bruxelles –




Milano, 17 novembre 2014




Signor Presidente,
desidero attirare la sua attenzione sui numerosi casi di bambini figli di coppie bi-nazionali, che si trovano costretti, a causa di decisioni assunte dai tribunali minorili del Paese di un solo genitore, a rinunciare de facto alla nazionalità, alla lingua e alla cultura del Paese dell’altro loro genitore. Vi sono numerosissimi casi, tra l’altro già esaminati anche dalla commissione per le petizioni del Parlamento europeo, in cui i figli non possono più nemmeno incontrare l’altro loro genitore. Queste aberranti situazioni sono il risultato  concreto di normative del diritto di famiglia nazionale che, come lei sa, non rientra nelle competenze dell’Unione europea. E’ vero che esistono la Convenzione dell’Aja  ed il Regolamento UE n. 2201/2003 detto Bruxelles II, che dovrebbero essere punti di riferimento precisi per le coppie bi-nazionali europee e per i loro figli, ma attraverso l’applicazione del principio di sussidiarietà, alcuni Paesi sfuggono a queste norme e creano situazioni di fatto in cui la seconda nazionalità viene negata. Molti bambini quindi vengono impoveriti intellettualmente da questa sottrazione e defraudati di un diritto che i principi giuridici europei gli riconoscono: quello della nazionalità dell’altro loro genitore.
Da notizie di stampa apprendo che la Commissione avrebbe avviato studi per modificare il Regolamento 2201/2003. Sarebbe l’occasione buona per definire finalmente una normativa che sia valida ed applicabile a tutti i bambini degli Stati dell’UE, per garantire la loro tutela ed il rispetto dei diritti legati alla bi-nazionalità per i bambini figli di coppie bi-nazionali separate o divorziate. Negare questi diritti è un delitto che non trova compensazioni. Affermarlo de iure negli Stati dell’UE non basta, infatti, anche oggi tutte le convenzioni e le carte dei diritti fondamentali lo riconoscono, ma in alcuni Paesi questo diritto non è riconosciuto de facto, defraudando i bambini di un valore non negoziabile.
Signor Presidente,
la nuova Commissione nel suo website afferma di essere “una squadra forte ed esperta per il cambiamento”. Abbia la forza ed il coraggio di porre mano al cambiamento che vedrebbe tutti i bambini europei posti sullo stesso piano e titolari veri di diritti che ora ad alcuni di loro sono negati, come quello della seconda nazionalità. Migliaia di famiglie si riconcilierebbero con l’Europa e la riconoscerebbero davvero come la patria dei diritti umani e si aprirebbe finalmente la strada per la  riconciliazione con la cittadinanza europea.
La ringrazio per l’attenzione che vorrà dedicare a questa questione e La prego di gradire i miei migliori saluti ed auguri.

                                                                                                          Cristiana Muscardini

Il Ministro Orlando difenda i bambini italiani!

MUSCARDINI: il Ministro Orlando difenda i bambini italiani e smetta di inchinarsi davanti allo Jugendamt tedesco


Martedì 21 Ottobre 2014





“Constatare che il genitore italiano, padre o madre che sia, viene privato della potestà genitoriale o dell’affido e costretto a pagare gli alimenti dei figli, obbligati a loro volta a vivere in Germania con il genitore tedesco, anche contro la loro volontà”. E’ quanto Cristiana Muscardini, presidente del Movimento Conservatori Social Riformatori, torna a chiedere, al Guardasigilli Andrea Orlando in merito allo Jugendamt, l’ente per l’infanzia e la gioventù tedesco cui la Germania demanda anche le questioni inerenti i minori con cittadinanza doppia e non solo tedesca.

Sollecitato lo scorso 19 giugno sui poteri coercitivi che lo Jugendamt esercita anche nei confronti di minori di nazionalità non esclusivamente tedesca, il ministero della Giustizia ha fornito una risposta che secondo Cristiana Muscardini, eurodeputata per 5 legislature, “sarebbe stupefacente ed incredibile, se non fosse tragicamente vera ed esemplarmente corrispondente allo stato del rapporto di docilità e condiscendenza delle autorità italiane nei confronti della Germania in merito al diritto di famiglia”.


“Non sono emerse criticità nel rapporto con le Autorità tedesche in merito al diritto di famiglia”  la risposta fornita il 2 settembre dal ministero alla segnalazione di Cristiana Muscardini, quest’ultima si è nuovamente rivolta per lettera al ministro riproponendo la questione sollevata già nei mesi scorsi (e in diversi interventi da europarlamentare): “Cosa è necessario fare per porre un freno a questa disgraziata deriva? Prima di tutto sarebbe necessario che il suo Ministero fosse consapevole e cosciente dei danni materiali e morali subiti da cittadini italiani e dai loro figli per opera dello Jugendamt. Con un po’ di buona volontà le criticità apparirebbero immediatamente e mostrerebbero tutta la loro gravità. Pensi alla situazione di una madre alla quale vengono sottratti i figli – sia pure con la violenza dell’apparente legalità – o ai bambini costretti a vivere in Germania contro la loro impotente volontà”.


lunedì 9 febbraio 2015

Tempo di statistiche e di chiarezza

E’ tempo di fare chiarezza: in Italia i bambini sottratti ai loro genitori sono sicuramente troppi, strappati ai loro affetti, nella stragrande maggioranza dei casi, senza validi e provati motivi.

Ciò che non possiamo accettare è leggere che questo è “un problema italiano”, oppure “una vergogna tutta italiana”. Peggio ancora, ci capita di leggere che gli altri paesi sarebbero più rispettosi dei diritti dei bambini e come al solito, con atteggiamento esterofilo ad oltranza (questo sì, tutto italiano), vengono presi ad esempio i “civili” paesi del centro e del nord dell’Europa.

Invece, di fronte a queste ufficialissime statistiche tedesche, redatte dai precisissimi tedeschi, che ci comunicano che SOLO nel 2012, cioè in un anno, sono stati tolti alle famiglie 40.227 bambini, i casi possono essere solo due:

ci siamo sbagliati e i civilissimi paesi presi a modello, soprattutto la Germania, sono dei barbari che usano i bambini come fonte di introiti

oppure

la Germania è un paese civile e se 40.227 bambini in un solo anno sono stati tolti ai loro genitori è perché i bambini erano in pericolo e andavano allontanati; in pratica la Germania è un paese di pazzi pericolosi, neppure in grado di amare e accudire quanto di più importante si può avere nella vita, i propri figli.



Come la Germania si appropria dei nostri figli e dei figli di tutta Europa

Attualmente, il vero problema in Europa, non è quello delle separazioni e dei divorzi binazionali, bensì quello dei bambini binazionali o stranieri che risiedono per almeno sei mesi in Germania. Grazie al regolamento europeo 2201/2003, dopo sei mesi di residenza in un Paese, la competenza giurisdizionale di tutte le cause relative ai bambini passa al giudice familiare del Paese di residenza.
Quindi dopo soli sei mesi di residenza in Germania, è competente il giudice familiare tedesco a decidere della sorte dei bambini.

Tutti i giudici di tutti i paesi devono emettere decisioni finalizzate alla salvaguardia del benessere del minore. Ma cos’è il “benessere del minore”? Se riflettiamo sull’evoluzione avvenuta e il cambiamento che si è realizzato anche nel nostro paese del concetto di educazione, constatiamo che ciò che era positivo solo cent’anni fa, oggi non lo è più. Eppure, oggi come allora, si agiva per il “bene del bambino” per educarlo in modo ottimale. Se queste differenze enormi si producono all’interno dello stesso paese e della stessa cultura, come è possibile pensare che i paesi europei, con linguaggi, tradizioni e storie differenti, possano intendere allo stesso modo il concetto di benessere del bambino? Eppure su questo si basano regolamenti e convenzioni che impongono agli Stati il riconoscimento reciproco delle sentenze, proprio perché tutte motivate dallo stesso interesse, la tutela del minore.

In realtà ogni cultura ha una visione propria di questo concetto, anche se in modo molto simile tra un paese e l’altro dell’Europa. Un caso a parte è però rappresentato dalla Germania. La società tedesca ha una concezione molto particolare del bene del bambino che potremmo forse tentare di comprendere tenendo in considerazione la sua storia, la sua cultura, la sua lingua e le sue tradizioni. Quella tedesca è una società nella quale si dà molta importanza all’obbedienza e all’accettazione delle regole, è la società nella quale il capo ha sempre ragione e ciò che prevede la legge è sempre giusto, al di là di ogni considerazione etica o morale. È la società che spinge tutti a fare la spia, ma nella quale gli spioni non esistono, bensì solo cittadini dotati di senso civico. In cambio lo Stato si occupa con zelo dei suoi cittadini. Li aiuta economicamente e distribuisce sussidi per i motivi più disparati. Lo Stato aiuta in tutto e controlla tutto, anche l’educazione che viene impartita ai bambini. Per questo in Germania, unico paese dell’Unione europea, la scuola parentale o homeschooling è categoricamente vietata, proprio perché lo Stato deve poter controllare il tipo di educazione impartita. I genitori che si oppongono, in pratica eludono il controllo statale e perciò vengono multati, messi in prigione e privati dei figli. Sono noti i casi di famiglie tedesche scappate per questo negli Stati Uniti. 

 Un altro esempio recente sono le lezioni di educazione sessuale. Contestate per i contenuti espliciti e, per alcuni genitori, immorali, queste lezioni vanno comunque accettate. I genitori dei bambini che si sono sentiti male (e che perciò non hanno più voluto assistere a quelle lezioni) sono stati incarcerati per non aver obbligato i propri figli all’obbedienza e per aver loro stessi criticato quelle lezioni.
Il sistema sanitario assicura medici, specialisti e medicine per i bambini in maniera completamente gratuita. Ma se un genitore non presenta il figlio ai controlli periodici stabiliti dallo Stato rischia seriamente di vedersi sottrarre l’affido o per lo meno una parte di esso (“diritto di decidere della salute del bambino”).
Chi trasmette ai figli questo modo di concepire la vita è un buon genitore, altrimenti diventa un genitore che “mette in pericolo il benessere del bambino”. A questo tipo di genitori vanno tolti i figli.

La posizione del genitore non-tedesco che vive in Germania è molto particolare perché, per quanto possa adattarsi e integrarsi, spesso non arriva a pensarla sempre esattamente così. E’ una persona cresciuta in un’altra cultura, con altre regole e abitudini, un altro modo di considerare il mondo e la vita. Pertanto il genitore non-tedesco è per definizione un genitore che rappresenta un pericolo per il bene del bambino (Kindeswohlgefährdend) o che potrebbe, un giorno, rappresentarlo. Lo Stato deve esercitare la sua funzione di controllo-tutela e lo fa attraverso lo Jugendamt. Questo è molto importante perché ne va del futuro della società tedesca che è, da un punto di vista tedesco, il migliore dei mondi possibili.

In pratica avviene questo: la Germania è il paese con un tasso di disoccupazione molto basso, il paese dove è ancora possibile trovare lavoro e dove arrivano continuamente immigrati, desiderosi di stabilirvisi. Spesso e volentieri queste persone trovano il lavoro ma perdono i figli che vengono “protetti” dallo Stato tedesco. Per esempio, nella sola comunità turca, si registrano ogni anno 4.000 bambini tolti ai loro genitori. Ma oltre ai Turchi ci sono anche mezzo milione di Italiani, e poi i Polacchi, i Greci, i Serbi, gli Sloveni, ecc… A tutto ciò che è positivo viene data visibilità, mentre le decisioni sui bambini avvengono nelle udienze a porte chiuse dei tribunali e prima ancora nelle stanze chiuse dello Jugendamt, completamente sotto giurisdizione tedesca, dunque in perfetta legalità. Intanto i media continuano a presentarci la Germania come l’Eldorado e ci invitano a partire e a recarci proprio là. Quando si racconta ciò che avviene veramente in Germania non si viene creduti, perché il lato oscuro è ben celato e lo si scopre solo quando è troppo tardi.

Dissimulare l’intrusione dello Stato nella vita privata e soprattutto il concetto di proprietà statale sui bambini è molto più facile in presenza di una separazione. Lo Jugendamt dovrà intervenire d’ufficio nel procedimento, per legge (SGB VIII), per “proteggere il bambino che in caso di separazione viene usato e quindi maltrattato dai genitori che si fanno la guerra”. E’ lo Jugendamt che dirà al giudice cosa deve fare e non in qualità di consulente, ma come parte in causa e terzo genitore.

Quando poi uno dei due genitori è tedesco e l’altro no, tutto diventa più facile: il genitore tedesco sarà sicuramente quello più idoneo e a lui verrà dato l’affido del bambino. Tutto ciò è stabilito prima ancora che inizi il procedimento, è nella testa dei funzionari dello Jugendamt ed in quella dei giudici, ma anche di psicologi e avvocati. Il procedimento giuridico serve piuttosto a trovare o meglio costruire la motivazione plausibile di detta decisione. E’ importantissimo far sembrare che ogni decreto o sentenza sia stato emesso a tutela dell’interesse del minore. I vari personaggi coinvolti ne sono persino convinti. Il genitore privato dei diritti genitoriali sarà semplicemente il genitore meno idoneo o addirittura non idoneo, colui che, incapace di accettare tale decisione verrà inoltre giudicato come incapace di adeguarsi alla realtà e indirizzato verso uno psicologo o uno psichiatra.

I genitori vittime di questo sistema, i genitori non-tedeschi tutti privati dell’affido dei figli e quasi sempre anche della potestà hanno da mostrare solo documenti che attestano le loro manchevolezze. Le scorrettezze, le falsità, le frasi distorte, i verbali delle udienze che non coincidono con le relazioni sono tutti fatti avvenuti, ma impossibili da provare. Questi genitori, quando si rivolgono ai tribunali del loro paese o alle corti europee, intenzionati a dimostrare la falsità e la malafede di un sistema che, oltre tutto, ha fama internazionale di essere efficiente e corretto, non vengono creduti. Anche di fronte all’evidenza (per es. una traduzione falsificata), i funzionari (ma anche i cittadini) dei nostri paesi non riescono a capacitarsi del fatto che in Germania possano verificarsi scenari di manipolazione e corruzione che assomigliano molti a quelli di tipo mafioso e dunque si presume siano sconosciuti in Germania.   Questi genitori si sono rivolti anche al Parlamento europeo, ma la Commissione Petizioni del Parlamento è controllata dagli eurodeputati tedeschi che, oltre ad essere più numerosi, sono anche sempre presenti (e questo è davvero un loro merito) e soprattutto lavorano esclusivamente nell’interesse del loro paese. Le petizioni sono pertanto, nove su dieci, ritenute irricevibili. Anche la CEDU, la Corte europea per i diritti umani, è sotto controllo tedesco: la ricevibilità dei ricorsi è stabilita da un giudice monocratico (un solo giudice) che conosce bene il diritto del paese contestato (quindi è austriaco, svizzero tedesco o di un paese dell’est ma ha fatto carriera in Germania) e che non è tenuto a motivare la sua decisione. La CEDU pertanto risponde ai genitori affranti con lettere di questo tenore: “il suo ricorso non è ricevibile. Non siamo tenuti ad illustrarne le motivazioni. Non cerchi di ripresentare ricorso su questo argomento. I suoi documenti non saranno restituiti, ma verranno distrutti a breve. Distinti saluti”.

In sintesi, tutto ciò che avviene sotto giurisdizione tedesca non è contestabile. I giuristi tedeschi nascondono bene – direi perfettamente – ciò che stanno facendo per il loro governo (in Germania non esiste la divisione dei poteri, caratteristica di ogni Stato democratico).

 Se invece un bambino per metà tedesco si trova all’estero, è sufficiente che il genitore tedesco lo porti in Germania (non importa se in modo legale o illegale) e reclami lì tutti i diritti genitoriali. Il fatto che il trasferimento possa essere illegale non costituisce un problema e neppure che il giudice del paese di residenza abituale, quello precedente, possa aver emesso un divieto di espatrio. Il giudice tedesco che sentenzia in nome del Kindeswohl, il concetto tedesco di bene del bambino, saprà trovare una soluzione. D’altronde a questo bambino appena arrivato in Germania non poteva succedere di meglio, ora potrà finalmente crescere in Germania (il migliore dei mondi possibili) con il suo genitore tedesco, libero dall’influenza (sempre negativa) di un’altra lingua, un’altra nazionalità e un’altra cultura. Sappiamo infatti che è legalmente possibile rifiutare un rimpatrio, basandosi sul bene del bambino.
Inoltre il codice penale tedesco scrive chiaramente che la sottrazione è un reato che si compie portando un minore dalla Germania verso l’estero e non dall’estero verso la Germania (§235 StGB). Dunque non ci saranno conseguenze penali per il genitore sottrattore, né verrà dato corso ad un mandato di arresto europeo poiché il delitto (sottrazione dall’estero verso la Germania) non è contemplato dal codice penale tedesco.
Sul piano civile sarà relativamente semplice, lo abbiamo visto, utilizzare il regolamento europeo a favore del genitore tedesco con la motivazione dell’interesse del minore. Resta solo un problema da risolvere, quello della credibilità internazionale e a questo i tedeschi tengono molto.

 Soprattutto nei casi frequenti con l’Italia, dove le ragazze tedesche vanno volentieri a cercarsi un padre per il figlio che intendono avere (assicurandosi così un introito mensile e una eredità immobiliare per il figlio), bisogna dissimulare la sottrazione (di solito la ragazza tedesca non si sposa e rientra in Germania prima o subito dopo il parto). La questione, se il bambino dovrà crescere in Italia con il genitore italiano non si pone neppure: il bambino è portatore di diritti suoi propri e pertanto anche di quello di crescere nel migliore dei mondi possibili, in Germania; inoltre in Germania “sanno” che i padri italiani hanno tutti la tendenza ad essere violenti, così come le madri italiane, se non sono un po’ squilibrate, sono per lo meno tutte delle chiocce, dunque madri negative per la crescita e lo sviluppo equilibrato del minore. Eppure troppe richieste di rimpatrio negate, anche se legalizzate dal giudice, andrebbero ad incidere negativamente sulle statistiche e metterebbero in cattiva luce il sistema tedesco, offuscandone la fama di paese onesto e corretto. Era necessaria una soluzione e i tedeschi l’hanno trovata nella mediazione.
Non a caso la mediazione familiare internazionale è oggi monopolio dei tedeschi che, ancora una volta, sono i migliori, danno lezioni, tengono congressi e conferenze a Bruxelles.

Appena il bambino (sottratto) arriva in Germania, nel giro di 24-48 ore succedono molte cose: la madre tedesca chiede allo Jugendamt di confermarle che detiene, in quanto madre nubile, la potestà esclusiva. Cambia l’indirizzo di residenza del minore (se non lo ha già fatto prima). Lo Jugendamt attiva un procedimento di Beistandschaft (procedimento amministrativo con il quale lo Jugendamt si sostituisce al genitore privato di suo figlio) e pretende immediatamente dal genitore non-tedesco il pagamento degli alimenti per il bambino e sovente anche il mantenimento per la madre. La madre cambia molto spesso anche il cognome del bambino poiché la legge tedesca glielo permette. Se l’altro genitore – il padre non-tedesco nel nostro esempio, ma potrebbe essere anche una madre – presenta istanza di rimpatrio, denunciando la sottrazione, viene subito bloccato dall’autorità centrale tedesca che gli chiede di anticipare un acconto di 1.500,- € per spese di avvocato e lo informa che dovrà anche pagare interamente le spese processuali (nulla è a carico del genitore tedesco che ha sottratto il bambino, perché lo Stato tedesco sa fare i conti meglio di quello italiano e difende ad oltranza il suo cittadino). Senza il versamento dei 1.500,- € non si muove neanche una foglia. Se questo padre è deciso a far rimpatriare il bambino e ha le possibilità economiche per sostenere le spese, fa cioè inoltrare la sua istanza al tribunale competente, verrà allora immediatamente contattato, con una lettera, una mail o direttamente al telefono, da una associazione di Berlino che gli proporrà (o meglio cercherà di imporgli) una mediazione. I suoi avvocati gli consiglieranno di accettare, perché in effetti, di solito, un accordo tra i genitori è meglio di una guerra senza fine. Ciò che i non-tedeschi non sanno è che in fase di mediazione verranno promessi al genitore non-tedesco frequentazioni intense con il figlio in cambio del suo consenso al trasferimento e la rinuncia alla richiesta di rimpatrio, ma subito dopo aver ottenuto questo consenso, cioè avere reso la sottrazione un atto legale, in Germania (a questo punto competente per il minore) si aprirà un nuovo procedimento sull’affido con il quale verranno tolti al genitore non-tedesco tutti i diritti sul bambino, che mai più rivedrà. Il vantaggio della mediazione è che tali sottrazioni non compaiono più nelle statistiche perché sono divenute trasferimenti legali, ci sarà una sottrazione in meno a carico della Germania e una mediazione conclusasi positivamente in più. I tedeschi continueranno a decantare la loro bravura nelle lezioni a Bruxelles e mai nessuno, tranne il genitore vittima e beffato, ci diranno che il bambino è diventato un tedesco puro.

Questa necessità di continuare a mostrare mezze-verità, solo la parte che dà lustro alla Germania, è uno dei motivi per cui i genitori che hanno vissuto, conoscono e sono in grado di analizzare questo sistema non vengono mai invitati a parlare, le loro petizioni spariscono e i loro ricorsi a Strasburgo sono irricevibili.

D’altronde la verità della Germania del 2015 è talmente infernale che nessuno ci crederebbe…

Marinella Colombo
Membro della European Press Federation
Responsabile dello « Sportello Jugendamt » dell’associazione C.S.IN. Onlus
Membro dell’associazione Enfants otages